Quello del commercialista diventa sempre di più, anno dopo anno, uno studio digitale. Del resto, di fronte al dirompente progresso tecnologico e al conseguente adattamento normativo, opporsi al cambiamento digitale nella gestione di uno studio professionale, commercialisti o meno, equivarrebbe ad arenarsi e a perdere inevitabilmente buona parte dei propri clienti. Ma non è tutto qui: la crescita digital degli studi professionali è definita come cruciale dal loro stesso ruolo.

Lo studio di un commercialista non è infatti un’azienda come un’altra, anzi, rappresenta il primo e fondamentale intermediario tra le imprese e la Pubblica Amministrazione. Da ciò si deduce che la spinta verso la trasformazione digitale – agevolata fin dal 2005 dal legislatore attraverso il Codice dell’Amministrazione Digitale – deve venire in buona parte proprio dagli degli studi commercialisti.

Come andremo a vedere tra poco, la crescita in senso digitale dei commercialisti italiani è concreta e sempre più veloce. Esiste però ancora oggi una certa resistenza di una parte dei professionisti, che tende a vedere la digitalizzazione non tanto come un’opportunità, quanto invece come un vero e proprio obbligo, senza dei reali vantaggi per il proprio business. Anzi, c’è qualcuno che pensa che la digitalizzazione finirà per togliere lavoro agli studi commercialisti: ma la contabilità non sta scomparendo, sta solo cambiando, lasciandosi alle spalle tutte le sue operazioni anacronistiche e inefficaci.

Durante e dopo questa rivoluzione le aziende hanno e avranno un bisogno ancora maggiore di intermediari capaci e preparati, esempio della migliore innovazione aziendale. E per l’appunto, gli studi professionali italiani si stanno muovendo pian piano in questa direzione: a dimostrare la continua crescita dei cosiddetti commercialisti 4.0 ci sono infatti i dati di un’interessante ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.

I professionisti e l’innovazione digitale

In effetti la digitalizzazione degli studi professionali continua a crescere: nel 2016 la spesa complessiva relativa alle nuove tecnologie, nel caso di commercialisti, di consulenti del lavoro e di avvocati è infatti cresciuta del 2,5%, arrivando così alla quota totale di 1,142 milioni di euro annuali. Dotare il proprio studio di un software commercialisti all’avanguardia, nonché un maggiore investimento nelle opportunità del web, costituiscono ormai una leva strategica fondamentale e riconosciuta per migliorare il proprio posizionamento sul mercato, anche e soprattutto per i commercialisti.

Gli investimenti dei commercialisti 4.0

Mediamente, nel 2016 ogni studio professionale ha speso 9 mila euro in tecnologie informatiche, voce che va così a coprire il 16% dei costi complessivi sostenuti dagli studi. Più nel particolare, i commercialisti e i consulenti del lavoro hanno speso mediamente 8.700 euro, cifra quasi raddoppiata nel caso degli studi disciplinari, che toccano quota 16.400 euro. Minore, invece, l’esborso degli studi legali, che in media si ferma a 4.600 euro. In ogni caso, più della metà degli studi professionali che ha investito nel digitale e nella tecnologia si dice soddisfatto dei risultati ottenuti: laddove il 18% denota una migliore capacità di ampliare la clientela o di offrire servizi, il 33% dichiara un netto miglioramento nella produttività individuale all’interno dello studio.

Italia in cammino verso lo studio digitale

Gli investimenti vanno dunque nei siti web, nel cloud computing (adottato dal 36% degli studi), nella gestione delle pagine sui social network (63%), negli strumenti di analisi per i Big Data (24%), negli accessori per abilitare e migliorare i lavoro in mobilità, che interessa l’87% degli studi intervistati, e nell’acquisto di software per commercialisti, Nelle attuali dotazioni degli studi professionali ci sono però delle zone di chiaro scuro: laddove il 91% degli intervistati può vantare la firma elettronica, infatti, solo il 55% può dire altrettanto per quanto riguarda la fatturazione elettronica. Il 18% degli studi, inoltre, continua a non conoscere i software CRM, mentre il 16% dichiara di non sapere cosa siano le applicazioni di business intelligence.

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