La sicurezza non è un incidente (Benjamin Franklin XVIII secolo)

Lo sviluppo di una “cultura della prevenzione” costituisce da sempre uno degli obiettivi più importanti nella ormai secolare battaglia ai rischi professionali. Questi concetti rimangono spesso una sfida per le organizzazioni. La stessa ILO (International Labour Organization) in due convenzioni (la 155 e la 187) ricorda l’importanza della cultura della prevenzione. La prima definizione ILO (2003) si riferisce a norme e soprattutto a diritti divenuti ormai fondamentali per tutti noi:

“… Una cultura in cui il diritto a un luogo di lavoro sicuro e sano sia rispettato a tutti i livelli, dove
governance, datori di lavoro e lavoratori lavorano attivamente per garantire tale luogo di lavoro attraverso un sistema di diritti, responsabilità e obblighi definiti e dove al principio di prevenzione viene data la massima priorità …”.

In anni più recenti (2011), l’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro (EU-Osha) è arrivata a difendere un concetto organizzativo di cultura della prevenzione che integra la definizione di cultura della prevenzione dell’ILO, promuovendo “il modo in cui la cultura organizzativa, vale a dire i valori e le convinzioni di fondo che i membri dell’organizzazione hanno in comune, influenza la SSL positivamente o negativamente”

Le premesse le conosciamo tutti da tempo: incidenti e malattie professionali provocano due milioni di morti all’anno e 1.250 miliardi di dollari di perdite ogni anno nel mondo. La cultura della sicurezza o, meglio, la sua palese mancanza, è da sempre utilizzata per spiegare tutti i fallimenti e le carenze nella gestione del rischio.

In generale la cultura della prevenzione è un coordinamento di enti che soprattutto nelle organizzazioni ad alto rischio (Oil&Gas, aviazione, energia, chimico, militare ecc.) tende a privilegiare affidabilità e sicurezza nel modo di pensare e nel modo di agire. In questo modo la cultura della prevenzione è un modo di pensare (vincente) che diventa oggetto di regole e comportamenti concreti che a cascata diventano cultura della sicurezza declinata nelle varie tecnologie, nei processi più rischiosi e nei prodotti.

Il tutto al solo fine di migliorare la salute e la sicurezza delle persone. Il risultato? La cultura della prevenzione rafforza la fiducia a tutti i livelli, sia nel management aziendale che nei vari team, compreso il team del servizio prevenzione e protezione, ma soprattutto tra colleghi. “Io mi fido di te”, perché entrambi crediamo nella sicurezza di tutti e usiamo abitudini sicure e comportamenti di buon senso.

Parliamo di concetti organizzativi, tesi ad adottare e a sviluppare prospettive positive in primis per il miglioramento del benessere dei lavoratori, ma anche e inevitabilmente di sviluppo dell’impresa. In mancanza di sicurezza l’organizzazione non cresce, viene sospesa o chiude e ha qualche problema a livello di immagine. Mi riferisco ad esempio agli ultimi gravi incidenti italiani, di cui è inutile parlare. Provate a cercare la cultura della prevenzione nell’incidente ferroviario di Brandizzo.

La creazione di un substrato culturale, fatto di formazione, comunicazione e sensibilizzazione può diventare terreno fertile per azioni di prevenzione primaria e di azioni preventive, ma rimane ad oggi una sfida importante per tutte le organizzazioni. Anche se non ce ne accorgiamo, la nostra cultura è in continua e costante evoluzione. Il cambiamento è inevitabile e deve essere oggetto di attenzione e analisi, anche da parte dei soggetti interessati alla SSL. (datori di lavoro, RSPP, RLS; Medici, Dirigenti e Preposti ecc.).

Naturalmente creare e sostenere una cultura della sicurezza non è facile, perché tende a risentire del passato e a resistere alle imposizioni dall’alto e alle novità. Più in generale, spesso manca il buon senso del buon padre di famiglia spesso citato nelle sentenze della Suprema Corte.

Tutti gli approcci impositivi sono destinati al fallimento. Cose già viste negli anni, che dividono l’azienda, stile 626/94 dove si leggeva la netta divisione tra datore di lavoro/dirigenti/preposti da un lato e lavoratori dall’altro, che qualcuno chiama approccio “noi e loro”. La verità è che il cambiamento tendenzialmente non piace a nessuno, figuriamoci il cambiamento per la sicurezza.

Come sono cambiati i tre principali componenti dei sistemi di rischio (la persona, il processo, l’organizzazione) nel periodo post-pandemico?

Lavorando sul campo, posso dire che la percezione della sicurezza delle organizzazioni che lavorano in appalto presso committenti e come affrontano di conseguenza le questioni relative alla salute, ma anche alla sicurezza, sono radicalmente cambiati negli ultimi due/tre anni.

La lezione più spesso narrata dagli imprenditori grandi e piccoli nel dopo pandemia è uguale per tutti: le persone devono essere al centro di tutte le nostre preoccupazioni.

Con le persone arriva la cultura e il dialogo sociale e continuo tra datori di lavoro e lavoratori, con o senza i loro rappresentanti. Il fenomeno delle grandi dimissioni ha in qualche misura rafforzato il concetto. Vi è una maggiore percezione delle emergenze e una sensibilità al tema mai registrata in passato. Anche in questo caso le persone sono al centro, le persone sono più ricettive ed è cambiata la cultura. Il cambiamento climatico non è più una fandonia per pochi eletti, gli obiettivi ESG sono diventati patrimonio di tutti (e quindi diventano cultura di tutti).

Quindi? Cosa dobbiamo fare?

La cultura della prevenzione è una risorsa che deve essere coltivata e mantenuta in tutti i settori professionali e in tutte le tipologie di aziende, soprattutto per adattarsi alle nuove attività e agli eventi.

La cultura della prevenzione non può e non deve essere separata dalla cultura aziendale. Devono convivere entrambe, sincronizzate e rafforzate da leader che ne dirigano la trasformazione in concretezza culturale.

Tuttavia, non esiste un’unica cultura; ci sono sempre culture anche territoriali, sottoculture, così come da sempre registriamo culture più dominanti e/o culture delle minoranze. Alla base ci sono credi, visioni, anche politiche o religiose, e si sviluppano basandosi su conoscenze, ma anche collaborazioni o cooperazioni. Quello che fa cultura è la condivisione di riferimenti che producono un significato e quindi un comportamento in almeno la metà della popolazione aziendale o comunque in una porzione rilevante dell’ambiente lavorativo.

Dal punto di vista pratico un’avanzata cultura della prevenzione si concretizza nella garanzia che i problemi siano segnalati in modo trasparente in tutta l’organizzazione e le opportunità di miglioramento siano sfruttate in modo rapido e deciso. Questo implica anche celebrare i successi, modellando pregi e difetti, plasmando i miglioramenti e correggendo le non conformità. La cultura della prevenzione tende a motivare le persone e a modificare i comportamenti a lungo termine con lodi (anche pubbliche) e incoraggiamenti piuttosto che una continua ricerca di difetti e negatività.

Quello che più conta è la capacità di evolversi alle situazioni, anche in relazione alle culture già esistenti. La cultura della prevenzione si lega e si alimenta di attività prevenzionali, viste come essenziali e che fungano da traino per la promozione della salute e della sicurezza. Analisi degli incidenti, discussioni dei mezzi di prevenzione, definizione di compiti e procedure di lavoro possono anche sembrare obblighi di legge, ma non devono essere viste come mere prescrizioni. Sono pratiche di prevenzione che devono sviluppare cultura, perché riescono praticamente a far confrontare i lavoratori con il processo produttivo, attraverso gli occhi della prevenzione. La collaborazione di figure diverse su temi che possono sembrare semplici e obbligatori (un incidente, il documento di valutazione dei rischi, il DUVRI, ma anche la formazione, ecc.) spesso riesce ad avvicinare le varie dimensioni culturali (tecnica, individuale e organizzativa) della prevenzione perché necessità di una serie di attività congiunte che spesso sfociano nella negoziazione e nell’organizzazione. Al termine le persone vedono la prevenzione con nuovi occhi. Non erano temi semplici, non è solo legge, è vita vissuta. Serve, è utile.

Serve coerenza, serve identificare i messaggi chiave della sicurezza e mantenere l’attenzione nel comunicarli spesso e bene. Iniziative di breve durata diventano mode e creano più danni che benefici ridicolizzando la cultura della prevenzione. I leader devono portare attivamente messaggi di sicurezza in ufficio e in reparto per i prossimi anni. La solita e-mail e il vecchio poster non sono sufficienti. Non più. Ci abbiamo provato, ma con scarsi risultati.

La cultura è fondamentalmente fare (sempre) ed essere visti fare. Crederci.

La percezione stessa di valutare tutti i rischi (individuali o collettivi) cambia se le persone hanno partecipato o meno a lavori di tipo organizzativo quali la scelta di DPI o la scelta di tecnologie avanzate per la prevenzione.

Da parte loro quindi anche i lavoratori devono sentirsi responsabilizzati e incoraggiati a partecipare nelle scelte e a sollevare questioni al management. Ma soprattutto dovrebbero essere elogiati nel farlo. Perché senza un dialogo bidirezionale, la cultura della prevenzione sarà semplicemente impossibile, al di là di ogni sforzo o impegno. Gran parte dell’attuale comunicazione sulla sicurezza, anche dei mass media, riguarda il modo in cui le persone debbano evitare gli incidenti. Ma se parliamo di creare una cultura della sicurezza, le conversazioni devono concentrarsi tantissimo sul “perché” della sicurezza, ancora prima del “come”.

Si può misurare?

Abbiamo detto che la cultura è in continua evoluzione e cambia in funzione dei rischi, dei processi, degli attori della sicurezza ma anche dell’ambiente. Occorre creare fiducia a tutti i livelli.

La sfida per il management, una volta creata questa fiducia, potrebbe essere quella di discutere cosa è giusto, cosa è sbagliato e come migliorare la sicurezza.

La sfida futura

A fronte di tutte queste rapide trasformazioni del lavoro ma anche delle organizzazioni, oggi tutti parlano di AI, la sfida rimane ancora nell’analisi del lavoro e nella circolazione delle informazioni sulla SSL nelle organizzazioni, dove spesso mancano.

Per aumentare e rafforzare la cultura della prevenzione, è necessario promuovere e diffondere al meglio queste informazioni a tutti i livelli, supportando le informazioni con misurazioni, grafici e dati che possano favorire la comprensione e la partecipazione dei lavoratori. Ad oggi, gli strumenti e la tecnologia consentono la creazione di gruppi di lavoro e dibattito che aprono la strada del lavoro di prevenzione.


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