Un 2 dicembre qualsiasi di un 1984 ormai lontano, una fabbrica abbandonata di pesticidi disperde una nube tossica nella popolosa città di Bhopal in India: l’incidente ha causato secondo diverse fonti la morte di almeno 25.000 persone. A quasi quarant’anni dal più grande (e più sottovalutato) disastro industriale (mondiale/di sempre) è giusto farsi qualche domanda e cercare di capire se davvero abbiamo imparato qualcosa oppure no e soprattutto quali lezioni tramandare alle generazioni future, ma anche alle persone che si occuperanno di leadership da domani. 

Gestione dei fattori di rischio: l’importanza della consapevolezza

A volte, durante le lezioni di sicurezza chimica, faccio vedere alcuni video della ricostruzione dell’incidente fatta dall’attore e autore Marco Paolini. È importante che i futuri RSPP, progettisti e addetti ai lavori abbiano consapevolezza dell’accaduto. L’attore racconta il contesto in cui migliaia di persone si sono ritrovate in una notte. I sintomi descritti li ritroviamo poco più di un anno più tardi negli ospedali italiani, quando 23 persone perdono la vita e alcune decine rimangono offese da lesioni personali (cecità e danni neurologici) a causa dell’adulterazione del vino con il metanolo. In tutti e due i casi il metanolo è protagonista. 

Una manutenzione maldestramente effettuata, in un serbatoio non più refrigerato e rimasto colpevolmente pieno di sostanze nocive (precursori dei pesticidi) ha causato una fuga di una miscela di gas tossici. Gli effetti a lungo termine sulla popolazione, a livello di malattie croniche, probabilmente non potranno essere mai valutati appieno, anche solo a causa della carenza di dati anagrafici, medici, sanitari. 

La Union Carbide (UC) è una multinazionale chimica statunitense, storica produttrice di fitofarmaci, oggi di proprietà della Dow Chemical. Nel 1969, decidono di costruire uno stabilimento in India per produrre l’ormai famoso pesticida Sevin. Le previsioni di mercato erano eccezionali. Se un popolo di centinaia di milioni di agricoltori avesse iniziato ad usare pesticidi le vendite sarebbero letteralmente esplose. 

I risultati degli audit per la sicurezza

L’impianto costruito in India e di design standard non era diverso dagli altri impianti costruiti nel mondo. Un unico progetto ha tanti vantaggi. Da un lato produce ovvie economie di scala, dall’altro è più facilmente gestibile, anche da remoto: tutti conoscono tutto.  In termini di sicurezza il vantaggio principale è costituito dal fatto che un problema/errore scoperto in un singolo impianto può migliorare tutti gli altri impianti uguali. Ma in India i materiali utilizzati non erano coerenti con i requisiti richiesti. Il libro infortuni prima dell’incidente registra già episodi di rischio per la salute molto gravi.

Un audit di sicurezza effettuato dall’UC nel 1982, rivela circa 60 pericoli, di cui la metà critici. Vengono segnalate e documentate gravi carenze nell’impianto, valvole e strumenti difettosi, vistose carenze formative.  

Lo scenario ipotizzato è quello di gravi perdite, fuoriuscite di prodotto e reazioni chimiche a catena/incontrollate. 

Le cause possibili dell’incidente

Sull’incidente esistono almeno 4 teorie distinte. Nessuno conosce con esattezza i motivi per cui, durante una manutenzione ad impianti già fermi (e abbandonati), accade una reazione esotermica in uno dei serbatoi che provoca l’esplosione e la fuoriuscita della nube tossica. La teoria più accreditata individua la causa in una una manovra errata. Altre possibili cause sono (mai pensare ad una sola causa in un incidente): 

  • Uso di un metodo di produzione di pesticidi più pericoloso (per ridurre i costi di generazione/produzione 
  • Ubicazione dell’impianto in prossimità di un’area densamente popolata 
  • Carenze di progettazione e di gestione dell’impianto 
  • Mancanza di operatori qualificati e carenze formative evidenti 
  • Riduzione della gestione della sicurezza (sia durante l’operatività che ad impianti chiusi) 
  • Manutenzione insufficiente (sia durante l’operatività che ad impianti chiusi) 
  • Piani d’azione di emergenza inadeguati 
  • Allarmi dei serbatoi non funzionanti da almeno 4 anni prima del disastro 
  • La torre di segnalazione e lo scrubber del gas di sfiato fuori servizio da cinque mesi prima del disastro 
  • Per ridurre i costi energetici, il sistema di refrigerazione era inattivo. La caldaia a vapore, destinata alla pulizia dei tubi, era fuori servizio per ragioni sconosciute. 
  • In fabbrica sono state utilizzate valvole in acciaio al carbonio, anche se si corrodono quando esposte all’acido 
  • Secondo gli operatori il manometro della bombola non funzionava correttamente da circa una settimana 
  • La stessa Union Carbide ha ammesso nel proprio rapporto di indagine che la maggior parte dei sistemi di sicurezza non funzionava la notte del 3 dicembre 1984. 

Qualunque sia il motivo e l’esatta dinamica, alla fine il risultato non cambia

Il dato ufficiale delle vittime parla di 5295 deceduti. Non accenna però, a tutti coloro che non sono morti subito ma hanno portato per decenni le conseguenze dell’incidente, in termini di perdita della salute ma anche della contaminazione delle falde acquifere.  

L’impianto era stato chiuso sei mesi prima dell’incidente (giugno 1984) a causa delle difficoltà economiche e di mercato, bloccando di fatto anche la refrigerazione per risparmiare soldi e freon e lasciando un composto instabile e pericoloso, fermo in serbatoi pieni. Non è mai stato bonificato. 

L’impatto dell’incidente sulla sicurezza industriale a livello mondiale

Questo incidente più di tutti gli altri ha aumentato la consapevolezza dei disastri industriali e ha di fatto cambiato l’atteggiamento mondiale nei confronti della sicurezza, come in seguito solo Chernobyl è riuscito a fare.

Questi erano anni successivi al disastro di Seveso (1976) e a quello di Flixborough in Inghilterra (1974); anche grazie a questi eventi si era faticosamente arrivati ad un approccio molto più sistematico della gestione della sicurezza nelle industrie di processo. Erano di fatto i primi passi dell’odierna salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

È infatti del 1982 la creazione della cosiddetta direttiva Seveso (Direttiva 82/501/CEE). Ciò nonostante, nessuno avrebbe mai potuto nemmeno concepire con la fantasia un evento con migliaia di persone uccise in un istante, nel sonno. Nascono per tutta risposta nuovi studi e centri per la sicurezza dei processi chimici, tesi ad aumentare gli standard di sicurezza. Modifiche legislative importanti in EU ma anche negli USA, sono nate e introdotte dopo Bhopal.

Nel 1984 in India non c’erano leggi sulla sicurezza. Non c’era formazione e comunicazione sulle sostanze pericolose né tra i lavoratori, né tanto meno verso la comunità locale. Gli esperti rimangono concordi nell’affermare che, in ogni caso, non è stata la mancanza di leggi sulla sicurezza a portare al disastro quanto le carenze progettuali, impiantistiche (acciai utilizzati), formative e soprattutto l’assenza di monitoraggi.  
Il concetto dell’importanza della progettazione (safety by design) nasce dopo il disastro. 

Gli stessi fondamentali concetti di sicurezza intrinseca, introdotti dall’ingegner Kletz, iniziano subito dopo l’incidente. Famosissimo a livello industriale il suo aforisma: “Quello che non hai, non può uscire”. Il solo avere sostanze instabili è estremamente pericoloso. Pensare di poterlo immagazzinare con sicurezza, altrettanto.  

La vera eredità tecnica del disastro di Bhopal  

– Safety by design 

– Comprendere e far comprendere i pericoli delle sostanze presenti  

– Assicurarsi di poter gestire in sicurezza le sostanze presenti  

– Eliminare stoccaggi pericolosi e inutili  

– Aumentare la consapevolezza della sicurezza (e delle emergenze)  

– Investire sulle risorse umane, come attuatori di processi in sicurezza 


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