I dispositivi di protezione individuale (DPI) sono attrezzature progettate per proteggere i lavoratori da rischi residui che possono minacciare la loro salute o sicurezza sul lavoro. I DPI rimangono ad oggi obbligatori in molte situazioni lavorative, ma devono essere utilizzati solo quando tutte le altre misure di prevenzione, come le misure tecniche e di protezione collettiva, non sono sufficienti a ridurre i rischi.

La parola “individuale” sottolinea che il dispositivo protegge solo la singola persona al momento dell’utilizzo corretto e richiede un’azione attiva del lavoratore che deve indossarlo o tenerlo conformemente alla formazione ricevuta e alle istruzioni di uso. La necessità di utilizzare DPI dipende ancora dal tipo di rischi presenti nell’ambiente di lavoro e varia molto in base al settore industriale in cui sono utilizzati.

Dpi come ultima spiaggia

La grande novità degli anni Dieci portata dal Testo Unico nel 2008, rispetto alla vecchia normativa comunitaria (Dlgs 626/1994) è il fatto, spesso dimenticato, che nell’attuale norma è necessario ricorrere all’uso dei DPI solo e soltanto quando, dopo avere adottato:

  1. Tutte le misure tecniche e pratiche di prevenzione
  2. Tutte le misure di protezione collettiva (DPC)
  3. Tutte le restanti misure, metodi, o procedimenti di riorganizzazione del lavoro,

permangano dei rischi residui, (prevalentemente di chiara natura igienico-ambientale e di sicurezza) che non possono essere ulteriormente evitati e/o sufficientemente ridotti.

I DPI intesi come soluzione e non prevenzione

Spesso quindi in letteratura si parla di utilizzo dei DPI come “ultima spiaggia”, rispetto a tutte le azioni prevenzionali che devono sempre e comunque essere messe in atto prima della scelta e della distribuzione dei DPI. Negli anni Novanta dello scorso secolo erroneamente, in sede di prima applicazione della 626/94 e in una fase ancora pionieristica della sicurezza in Italia, i DPI venivano considerati come soluzioni ai problemi evidenziati e non come eventuale ultima carta da giocare per ridurre rischi che non potevano e/o dovevano essere ridotti in altro modo.

Il legislatore europeo ha ben compreso l’uso eccessivo e smodato di quel periodo ed è corso ai ripari, modificando radicalmente la norma. La ratio del Testo unico, che recepisce queste modifiche è molto chiara: prima le misure tecniche di prevenzione, prima i mezzi di protezione collettiva (DPC), poi eventualmente i DPI.

I DPI nel testo unico

Spesso questa scala gerarchica di importanza viene ricordata in varie parti del testo unico (ad esempio art. 19 comma 1 lett. A “e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale), ma ancora più chiaramente nella gerarchia dei controlli di cui al punto A.8.1.2. della ISO 45001, dove si vede chiaramente che i DPI rappresentano la soluzione meno efficace e meno consigliabile di tutte quelle rappresentate (eliminazione, sostituzione, controlli ingegneristici, controlli amministrativi e per ultimo DPI). Recentemente questo concetto ormai ampiamente condiviso è stato ripreso da una sentenza della Cassazione Penale, (Sez. 4, 04 dicembre 2023, n. 48046) ove si ribadisce che nella sicurezza dei lavori in quota le misure di protezione collettiva vanno adottate in via prioritaria rispetto a quelle di protezione individuale. Interessanti alcune conclusioni al proposito che riprendiamo testualmente:

“Occorre, invero, rammentare che la gestione del rischio di caduta dall’alto è affidata dalla legge a due principali forme di presidio: collettivo e individuale. La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (comma 1, lett. a); la ratio di tale indicazione risiede nel fatto che i dispositivi di protezione collettiva sono atti a operare indipendentemente dal fatto, e a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota (art. 111, comma 2); è, quindi, valorizzata la possibilità per il datore di lavoro di optare, in relazione allo stato di fatto, per un sistema piuttosto che per un altro. Un’ulteriore disposizione prevede che il datore di lavoro possa disporre l’impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l’impiego di un’altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili (art. 111, comma 4); tale disposizione rafforza l’indicazione iniziale circa la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in quota”.

Il percorso tecnico legislativo di scelta e adozione dei DPI

Il percorso di scelta è univoco e molto ben definito dall’art. 77 comma 1 del Dlgs 81/08 che andiamo a schematizzare.

I DPI vengono scelti e definiti dal sistema di prevenzione dell’organizzazione all’interno del documento di valutazione dei rischi, che rimane l’elemento cardine del sistema prevenzionale e il punto di partenza di ogni percorso di adeguamento o consolidamento normativo.

Dall’analisi e dalla relativa valutazione di tutti i rischi emergeranno quei rischi (e solo quelli) che non possono essere evitati e ridotti.

È solo a questo punto che il DDL può individuare le caratteristiche dei DPI necessari e adeguati ai rischi individuati, tenendo sempre presente che anche i DPI possono rappresentare a loro volta ulteriori fonti di rischio (ad es. un otoprotettore scelto male e troppo protettivo limita fortemente la percezione dei lavoratori ecc).

A questo punto la norma consiglia di valutare, anche sulla base delle informazioni disponibili e delle norme di uso fornite dai fabbricanti a corredo dei DPI, tutte le caratteristiche dei DPI individuati e le confronta con i requisiti di cui ha necessità.

Ultimo, ma non ultimo, nell’ottica del change management è importante aggiornare la scelta dei DPI ogni volta che intervenga una variazione significativa dei vari elementi di valutazione.

Lo schema è rappresentabile nel modo seguente :

I DPI: le esigenze ergonomiche e di salute

Gli aspetti che, ancora oggi, rimangono spesso sottovalutati riguardano le esigenze ergonomiche e di salute connesse con l’utilizzo de DPI. Malgrado gli sforzi e la crescita anche professionale degli ultimi anni, manchiamo di cultura della prevenzione e quindi anche di una cultura dei DPI, che prediliga chi ne ha compreso l’utilizzo per sé e per gli altri. Rimangono ancora pochi in percentuale i datori di lavoro che fermano i lavori se vedono che non vengono utilizzati i DPI.

L’evoluzione tecnica innegabilmente ha profondamente modificato i DPI negli ultimi anni, cercando di evolvere anche nel miglioramento dell’ergonomia. Ormai il pretesto di asserire che i DPI non siano comodi rimane poco più di un lamento infantile; il problema rimane culturale. Sul mercato troviamo scarpe antinfortunistiche traspiranti, con puntali in carbonio e suola anti perforazione in tessuto, così come DPI anticaduta che pesano meno della metà dei modelli degli anni 2000 a parità di caratteristiche di sicurezza, ma anche DPI tracciati con Rfid e distribuiti da distributori automatici posti a fianco alla macchina del caffè.

A chiunque oggi può capitare di vedere persone che usano le scarpe antinfortunistiche anche fuori dal lavoro, segno palese di comfort e di praticità. Da segnalare che sul mercato permangono anche DPI da primo prezzo spesso di origine estera, ove non si privilegiano le caratteristiche di comfort, a scapito poi del reale utilizzo. Il DPI scomodo, pagato poco, non viene usato.

La pandemia del resto ha fatto comprendere a chiunque l’importanza delle protezioni respiratorie e tutti, lavoratori e non, sono diventati esperti di FFp2 o FFp3 nella confusione generale originata dalla carenza sia di presidi medici (mascherine chirurgiche) che di DPI di terza categoria.

Le difficoltà ad oggi ancora presenti

Malgrado quindi una forte evoluzione della tecnica e una maggiore conoscenza e consapevolezza sull’uso e l’importanza dei DPI, permangono ad oggi difficoltà in termini di comodità di utilizzo (e/o culturali). Il lavoro effettuato con uno o più DPI per tutte le otto ore al giorno di un turno risulta innegabilmente più pesante (provare per credere). Se poi i DPI scelti ed imposti, per mille motivi, sono poco comodi e poco ergonomici, ma soprattutto scelti con soli criteri economici, rischiano di complicare la giornata del lavoratore o in alternativa non vengono utilizzati. Ecco quindi che le caratteristiche principali dei DPI devono necessariamente riguardare facilità di uso, comodità, ergonomia in senso stretto, per andare incontro alle esigenze di chi poi li deve utilizzare obbligatoriamente per tutto il turno, 5/6 giorni a settimana.

Informare i lavoratori sui rischi dai quali viene protetto dai DPI, oltre ad essere espressamente richiesto dalla norma, rimane uno dei metodi migliori per far capire i motivi per i quali sono stati consegnati e viene chiesto di usarli con continuità. Formare tutti i lavoratori su tutti i DPI sempre e addestrarli obbligatoriamente sui DPI di terza categoria e sui DPI dell’udito rimane nella norma come era scritto dagli anni Novanta. Le zone d’ombra? Essenzialmente due.

La prima riguarda i datori di lavoro che non hanno (ancora) chiaro che la norma prescrive da trent’anni che loro (e non i lavoratori) devono mantenere in efficienza i DPI e assicurare le condizioni di igiene, mediante manutenzione, riparazioni, sostituzioni e secondo indicazioni del fabbricante. Si pensa erroneamente che la cura debba essere delegata al lavoratore a cui è stato consegnato il DPI, ma la sanzione penale rimane a carico del datore di lavoro e del dirigente (arresto da tre a sei mesi o ammenda da 3.559,60 a 9.112,57 euro).

La seconda: durante gli audit di verifica della ISO 45001 emerge spesso la Non Conformità. Le organizzazioni non hanno ancora del tutto recepito che la norma richiede di stabilire le procedure aziendali da seguire, al termine dell’utilizzo per la riconsegna e il deposito dei DPI. (in questo caso la sanzione è amministrativa da 711,92 a 2.562,91 euro). Anche in questo caso, il legislatore voleva evitare che i DPI a fine vita escano dal luogo di lavoro, con il rischio di uno smaltimento non corretto degli stessi a livello ambientale, ma anche per assicurare che i lavoratori possano avere accesso e utilizzare solo DPI conformi, in collegamento anche con quanto sopra.


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