La discesa del costo del lavoro e i mercati internazionali

Il costo del lavoro, in Italia, sta scendendo: una buona notizia per le aziende, meno, ovviamente, per i lavoratori. Lo ha confermato l’Eurostat, analizzando i dati del primo trimestre del 2016: la retribuzione oraria in Italia si è ridotta dello 0,5%, in controtendenza rispetto al resto del panorama europeo, dove il salario è aumentato dell’1,7%. Unico tra i grandi paesi dell’Unione a registrare questo tonfo, il nostro Paese, come detto, segna un abbassamento anche per l’intero costo del lavoro, sceso dell’1,5%.

Quello sul costo del lavoro in Italia è un dibattito che continua da anni. Particolare scalpore fecero i dati pubblicati dall’Istat nel marzo del 2015, i quali dimostravano che il costo del lavoro italiano era perfettamente in linea con la media europea, quando invece era assodato che i salari reali avevano conosciuto una flessione fin dal 2007. La compressione del costo del lavoro, matematicamente parlando, è di per sé un fattore positivo per le aziende, le quali possono approfittarne per aumentare la propria competitività sui mercati internazionali. Dove sta allora l’inghippo? Perché, nonostante il calo del costo del lavoro, le imprese italiane non hanno effettuato il salto di qualità all’estero? Il problema, spesso trascurato dai mass media, è che insieme al salario medio si è ridotto anche un altro fattore determinante, ovvero la produttività.

La riduzione del salario reale

Come ha dichiarato l’anno scorso l’International Labour Organization, ovvero l’agenzia dell’Onu che monitora le variabili del mercato del lavoro e promuove le migliori pratiche per favorire un’occupazione diffusa, regolare e sicura, nel nostro Paese il salario reale – la retribuzione lorda riferita al costo della vita – dal 2007 è sceso del 6%. Una cifra molto alta, ben peggiore di quella registrata in altri stati colpiti duramente dalla crisi economica, come il Portogallo e l’Irlanda. Proprio per questo motivo, il dato riportato dall’ILO ha un’importanza fondamentale: certifica infatti che il potere d’acquisto dei salariati italiani è diminuito del 6%: nessuno può quindi sorprendersi se i consumi interni non si rialzano. Semplicemente, i lavoratori non hanno liquidità sufficiente per permettere il riavvio del mercato nazionale.

Dall’altra parte della medaglia, però, lo stesso dato dovrebbe essere positivo per le aziende: a parità di ogni altro fattore, infatti, se il lavoro costa meno, aumenta la competitività, in quanto i beni e i servizi prodotti risultano meno costosi sui mercati internazionali. Non a caso, però, si è sottolineato il concetto che gli altri fattori devono restare immutati: un elemento essenziale, in questo caso, è però a sua volta cambiato. La produttività, infatti, è calata, vanificando gli eventuali vantaggi del calo del costo del lavoro, il quale di per sé avrebbe potuto aumentare la competitività del sistema Italia e quindi creare nuovi posti di lavoro, così da rilanciare a sua volta la domanda interna.

L’influenza del fattore produttività

Ma quando, e perché la produttività del nostro Paese si è ridotta? I dati Eurostat ci dicono che, se si fissa a 100 la produttività italiana del 2010, nel 2004 tale valore si trova a 102, e persino a 103 nel 2007. Nel 2013, invece, tale fattore è diminuito, arrivando ad un misero 98. Incrociando questa informazione con il dato precedente, si comprende che nello stesso periodo in cui il salario reale si è ridotto del 6% , anche la produttività per addetto è scesa del 4,85%. Non proprio una coincidenza: si può infatti dare per assodato che un dipendente ben pagato tenda a lavorare meglio di uno con un salario minore. Questo dimostra che la competitività delle aziende di un paese non può essere definita partendo unicamente dalla misurazione del costo del lavoro, come troppo spesso accade: il fattore produttività, come si è visto, possiede un peso altrettanto determinate.

Questi due dati, però, a loro volta non sono sufficienti. Nel caso della Germania, per esempio, nello stesso arco di tempo (2007-2013) il salario è aumentato, mentre la produttività per addetto è scesa del 2%. Questo sembrerebbe contraddire quanto esposto sopra: va allora precisato che, nel medesimo periodo, in Germania è scesa del 3% anche la disoccupazione. In questo modo, la produttività complessiva è rimasta uguale: il dato che si è ridotto, invece, è stato solamente quello relativo alla produttività per addetto.

Valutare la redditività di ogni processo

Tutto questo rallenta ovviamente il sistema Italia, sia all’interno che verso l’esterno, ma ancor prima frena le singole imprese, le quali possono trovare difficoltà crescenti nel valutare l’effettiva redditività di ogni singolo progetto rispetto al costo del lavoro. Per questo motivo è raccomandabile l’adozione di un software per il calcolo delle ore lavoro, così da poter monitorare al meglio le attività delle risorse impiegate. Allo stesso tempo, mediante questo strumento informatico, i dipendenti hanno accesso immediato alle informazioni necessarie allo svolgimento ottimale delle loro attività. Disporre di dati immediati sul costo del lavoro e sulla produttività di ogni risorsa, in sintesi, può aiutare il management ad analizzare i costi e i ricavi, e quindi a migliorare l’intero processo produttivo.