Il 2017 che sta per finire verrà ricordato come l’anno dello smart working: quest’anno il lavoro agile, lo smart work, è infatti stato regolamentato da un’apposita legge, attirando così intorno a questo fenomeno l’attenzione crescente dei media. L’introduzione di una normativa specifica, la soddisfazione delle aziende che già da anni hanno dato ai dipendenti la possibilità di accedere allo smart working e il favore degli stessi dipendenti è del resto dimostrato dai numeri elaborati dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, il quale stima la presenza di ben 305 mila smart worker nelle aziende italiane, con un’incidenza che tocca ormai l’8% degli occupati – in aumento del 14% rispetto al 2016.

Una definizione di smart working

Se si volesse dare una definizione di smart working si potrebbe descriverlo come un nuovo approccio lavorativo, basato sul ricorso a tecnologie collaborative, sulla dislocazione del lavoro in sedi diverse dall’ufficio e sulla revisione del classico rapporto di controllo tra dirigenti e subordinati. Insomma, quando si parla di smart working si parla anche di tecnologie abilitanti e di fiducia dell’azienda nei confronti dei lavoratori.

La situazione dello smart working in Italia

Si può sicuramente affermare che lo smart working interessa una larga fetta delle Pmi italiane. Stando ai dati dell’Osservatorio Smart Working 2017, questo fenomeno attira l’attenzione del 60% delle Pmi, anche se per ora non sono molte le piccole e medie imprese che hanno dato il via a dei veri e propri progetti di questo tipo. Ad oggi, infatti, lo smart working è stato implementato solamente dal 7% delle Pmi, di contro al 36% delle grandi imprese. Di più: oltre la metà delle grandi imprese ha in programma delle iniziative di smart working.

A rallentare il passo sullo smart working, dunque, sono proprio le Pmi, anche se va sottolineato che, se è vero che solo il 7% di loro ha implementato sistemi innovativi di welfare aziendale e iniziative strutturate di smart working, è altrettanto vero che il 15% delle piccole e medie imprese italiane lavora già in questo modo, all’infuori delle etichette. Un altro 15% si dice in ogni caso aperto all’eventualità di aprirsi al lavoro agile, incoraggiato soprattutto dal miglioramento della produttività e della qualità del lavoro e, in seconda battuta, dal benessere organizzativo.

Le resistenze al cambiamento

E se sono piuttosto chiari i motivi che spingono le imprese ad abbracciare i paradigmi dello smart working, i dati dell’Osservatorio fanno luce anche sui fattori che spingono molte Pmi a non provare nessun approccio. Tra queste imprese si trovano soprattutto attività del manifatturiero (33%), dell’edilizia, della riparazione e installazione (17%), del commercio (15%) e della hospitality and travel (15%). A motivare la loro ritrosia c’è in gran parte una limitata applicabilità dello smart working alla loro peculiare realtà (nel 53% dei casi), l’esplicito disinteresse da parte del management (11%) o il limitato grado di innovazione dei processi aziendali (7%).

Chi sono gli smart worker

A favorire la crescita dello smart working, seppure a velocità differenti tra grandi imprese e Pmi, ci sono come anticipato le impressioni positive provenienti da chi ha già familiarità con questo innovativo approccio lavorativo. Se infatti i lavoratori tradizionali si lamentano della propria situazione lavorativa nel 17% dei casi, questa percentuale scende fino all’1% nel caso degli smart worker, che sono inoltre maggiormente soddisfatti delle modalità organizzative (50% contro 22%) e vantano un miglior rapporto con i colleghi (34% contro 16%).

I vantaggi non sono però tutti dalla parte dei lavoratori. Elaborando i dati raccolti, l’Osservatorio ha infatti dichiarato che la produttività del dipendente medio in regime di smart working aumenta del 15%. A partire da questa stima, se tutti i 5 milioni di lavoratori italiani che potenzialmente potrebbero diventare smart worker si convertissero effettivamente al lavoro agile, a livello nazionale si potrebbe conoscere un incremento della produttività media lavorativa pari ad un beneficio di 13,7 miliardi di euro.

Come ha voluto sottolineare il responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working Mariano Corso, dunque, lo smart working è «una grande opportunità di contribuire a ripensare il lavoro del futuro per rendere imprese e pubbliche amministrazioni più produttive e intelligenti, lavoratori più motivati e capaci di sviluppare talento e passioni, una società più giusta, sostenibile e inclusiva».