Clienti al comando

Sì, i dati possono rispondere ad ogni tipo di domanda, ma perché questo sia davvero possibile è in primo luogo necessario essere in grado di leggerli. È da qui che nasce il ruolo centrale della big data analysis, in un mercato sempre più digitale nel quale avere una visione completa e approfondita dei propri clienti è un’esigenza alla quale nessuna azienda può ormai venire meno. Ma qual è il vero motivo fondante di tutte le tecniche di data analytics? Semplice: tutto nasce dal fatto che un tempo a comandare erano le aziende, ora sono invece i clienti, i quali sono ormai onnipotenti.

La multicanalità dei clienti alla base della data strategy

Ma attenzione, non è solo l’onnipotenza dei clienti ad aver dato il via all’era della data strategy. No, è anche e soprattutto la loro multicanalità: i social, i siti web, le recensioni, gli e-commerce e i dispositivi mobili hanno fondato un mondo a misura di cliente. Dalla parte delle aziende, questo si traduce in una continua narrazione da parte del potenziale cliente, una narrazione da saper leggere e sfruttare a proprio favore: persino un semplice selfie, per assurdo, può diventare una fonte rilevante per un business. Certo si potrebbe pensare che grazie a strumenti di big data analysis le aziende possano arrivare a sopraffare i consumatori, ma in realtà lo stesso mondo digitale non lo può permettere. La convenienza, la reperibilità, l’automazione e la possibilità continua di confronto tra un fornitore e l’altro di prodotti e di servizi sono infatti tutti elementi a favore dei clienti.

Oltre il data warehouse

La competizione si fa dunque sempre più serrata, e l’unico modo per prevalere sui propri concorrenti – oltre ovviamente all’offerta di servizi o di prodotti appetibili per il proprio pubblico – è quella di avvalersi della migliore data strategy. E non ci si può più limitare alla semplice gestione dell’ormai classico data warehouse per conoscere appieno il proprio cliente, no, serve qualcosa di più. Un data warehouse non permette alle aziende di capire davvero le esigenze nascoste del proprio pubblico a target: le loro opinioni e le loro intenzioni implicite restano un mistero. Ci vuole di più, e la risposta dei guru della Business Intelligence sembra essere sempre più costituita da un metodo di lavoro incentrato sul data lake.

Data Lake: cos’è e perché è rivoluzionario?

Se ne parla già da anni, ma non tutti sanno davvero cos’è il data lake. La prima volta che il termine data lake apparve in rete fu nel 2010, sul blog di James Dixon, ovvero il CTO di Pentaho. «Se si pensa ad un datamart come ad un negozio che vende acqua in bottiglia (depurata, confezionata e strutturata per essere consumata agevolmente e immediatamente) il data lake è invece una grande distesa d’acqua conservata in uno stato più naturale» scriveva allora Dixon, aggiungendo che «il contenuto del data lake affluisce da varie sorgenti di dati e gli utenti possono esaminarlo come più li aggrada». Ecco, sta qui la potenza del data lake, ovvero nella sua differenza con il data warehouse: qui si parla di dati grezzi, in formato nativo, con una più accentuata capacità di interrogazione e di analisi.


Le aziende, per rimanere competitive, devono quindi essere in grado di andare oltre il data warehousing, affinando e potenziando le proprie strategie di Business Intelligence: oggi e domani sempre di più, la redditività di un’impresa è e sarà legata a doppio filo con la capacità di raccogliere, analizzare e comprendere quanti più dati possibili riguardo ai propri potenziali clienti.